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Medici in crisi: il 71% valuta la fuga verso l'estero

Professione Redazione DottNet | 02/06/2019 20:30

I camici bianchi nel pieno della carriera manifestano un disagio maggiore. I più giovani percepiscono maggiormente le difficoltà

Medici in profonda crisi, che soffrono la burocratizzazione eccessiva, la medicina amministrata, i vincoli di bilancio: non riescono più a conciliare lavoro e vita privata, schiacciati da turni massacranti, senza poter prendere ferie e sentendosi in colpa se devono entrare in maternità o in malattia. E allora, sognano la fuga: verso il prepensionamento, l' estero o il privato. Ma, potendo tornare indietro, non hanno dubbi: rifarebbero il medico o l' odontoiatra. Questa la fotografia scattata dal sondaggio dell' Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Venezia, presentato oggi nella città lagunare, al convegno "Verso gli Stati generaliMedicina meccanica 2.0: il medico e il suo non tempo", organizzato - mediante la sua Fondazione Ars Medica - dall' Ordine veneziano insieme alla Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo). L' indagine è stata condotta su un campione di 498 medici e odontoiatri volontari, per il 64% uomini e per il 60% con oltre 55 anni, per lo più dipendenti (35%), convenzionati (29%), liberi professionisti (24%), ma anche in via di inserimento professionale e pensionati.

Ebbene: quasi tutti gli intervistati ritengono che la loro professione sia in crisi (92%), e a percepirla maggiormente sono i più giovani (96% tra gli under 40, 93% sotto i 55 anni). Tuttavia, quelli che si trovano nel pieno della carriera manifestano un disagio maggiore (il 60% dei 41-55enni è molto d' accordo con l' affermazione). Una crisi della professione avvertita più dalle donne che dagli uomini. Dall' indagine emerge dunque che è l' eccessiva burocratizzazione la prima causa della crisi della professione medica, soprattutto per i camici bianchi più maturi. Inoltre, più della metà di medici e odontoiatri attribuisce una significativa responsabilità ai vincoli della medicina amministrata e all' inadeguato finanziamento del Ssn. Per un giovane medico su tre, pesa la difficoltà di relazionarsi con il paziente. E ancora: ben il 91% ritiene che le modalità oggi richieste nello svolgimento della professione influiscano negativamente sulla vita privata. L' apice del disagio si riscontra nella fascia 41-55 anni. Anche nella professione medica e odontoiatrica, sono le donne ad avvertire una maggiore tensione nel rapporto tra vita privata e lavorativa.

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Come reagire a questo disagio? Il 71% degli 'under 40' sogna (47%) o ha già pianificato (14%) la fuga verso l' estero. Non è così, come era prevedibile, per gli over 55. "Sette giovani medici su dieci potrebbero andarsene dall' Italia nei prossimi anni, attratti da stipendi più congrui, da condizioni di lavoro migliori, da una qualità della vita più elevata - ha sottolineato Gabriele Gasparini, vicepresidente della Fondazione Ars Medica -. Potrebbero così delinearsi scenari simili a quello della Romania, dove il 10% dei cittadini è rimasto senza cure mediche". Anche il prepensionamento è un' idea che si potrebbe concretizzare a breve per quasi il 23% degli iscritti over 55. Con riferimento alla classe anagrafica centrale (41-55 anni), il 23% degli intervistati si dichiara disposto a ritirarsi anticipatamente dal lavoro, se la normativa lo consentisse. Il ritiro anticipato dal lavoro è una possibilità ancora lontana soprattutto per le donne (51%).

Ma nonostante queste criticità, dall' indagine emerge ancora una forte soddisfazione per la scelta professionale fatta (78%), soprattutto tra chi ha una lunga carriera alle spalle. Appena il 14% degli iscritti si ritiene 'pentito' del percorso professionale intrapreso, con una maggiore incidenza tra le donne. Il giudizio sulla soddisfazione dell' attuale posizione lavorativa è invece contrastante. Ben il 18% non è stato in grado di dire se vorrebbe passare alla libera professione o viceversa. Maggiore insoddisfazione emerge tra i dipendenti: il 37% cambierebbe posizione lavorativa, mentre il percorso inverso lo farebbero appena il 20% dei liberi professionisti.

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